… nella mente di mio padre sono rimasto il “bambino”, “il piccolo” e nella sua testa e nel suo cuore voleva avere un bambino. Appena tornato in Italia, infatti, ha avuto un altro bambino da mia madre. Io mi sentivo escluso allora dalla costituzione di questa “nuova“ famiglia e quando mia madre è morta, a soli trentotto anni, mio padre si è risposato ed ha avuto due figli nel secondo matrimonio.
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Otto anni fa, con mio figlio che ho chiamato Giovanni, sono andato in Argentina a Rosario a vedere dove aveva vissuto mio padre ed i luoghi dove aveva vissuto quegli anni.
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In “Colpire al cuore” c’è uno schiaffo che Jean Luis Trintignan dà al figlio. Ma è uno schiaffo che il figlio si fa dare dal padre. In tutto il film sente il padre che vuole fare l’amico e il figlio ha bisogno, invece, di un padre. Credo che i figli, oggi, pretendono questo, anche quando vogliono un rapporto amicale. Il figlio è il più debole tra i due ed ha bisogno di certezze. Non è un caso che nella sequenza successiva, c’è il battibecco tra padre e figlio e Jean Luis Trintignan dice al figlio:”Vorresti un padre che ti dice dov’è il bene e dov’è il male? Ma padri così perfetti non ce ne sono più”. E il figlio non può che rispondergli: “Figli perfetti ancora meno.
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Il cinema va visto in una sala perché la sala è un po’ come la chiesa, per chi va a sentire la messa la domenica. Adesso abbiamo una tale facilità a vedere e ri-vedere i film che nello scaffale, accanto ai libri, ho una serie di DVD che ho comprato ma che non ho mai visto. Da una parte questo ci da una grande libertà, dall’altro elimina l’intensità per questo evento che è il cinema.
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Forse mi accostano a Rossellini per quanto riguarda la volontà di essere dove le cose accadono, dove la storia si sta facendo, a De Sica perché anche nei miei film a volte sono protagonisti i bambini. Ma io credo di essere stato molto più influenzato da Antonioni, per questioni anagrafiche. Lui è stato fondamentale per la mia formazione, più ancora della nouvelle vague. Anzi, secondo me la nouvelle vague ha filtrato molto da Antonioni.
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Il regista deve cogliere la verità. Secondo me è immorale mescolare il cinema con la vita (cosa che si sta facendo nella tv di oggi). Bisogna ricreare la realtà, non mescolarla al cinema; questo è contrario all’etica del cinema. In La fine del gioco parlo della tv di oggi, della vita mescolata alla finzione. Rappresento un personaggio vero letto coi moduli del meccanismo con cui si guarda la fiction. Mostro la libertà di manipolazione di quello che viene presentato come realtà. Io nei miei film faccio un patto leale con lo spettatore.
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Le mie sceneggiature sono dettagliatissime, ma poi il film non viene come viene, all’ultimo momento magari cambia tutto. Io non do le pagine con le battute agli attori da imparare a memoria, do delle immagini guida e poi le battute vengono insieme. Certo poi gli attori hanno tra loro metodi molto diversi di lavorare, per esempio Trintignan va d’accordo con le mie idee, mentre Volontè aveva bisogno di studiare la parte a memoria per entrare a fondo nel personaggio, quindi abbiamo avuto un po’ più di difficoltà.
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