Franco Fontana


Ho iniziato cinquant'anni fa (1961) come fotoamatore e ho continuato per amore della fotografia con il cuore, il pensiero e la passione. Il mio primissimo approccio fu con una macchina presa a noleggio, una Kodak Retina che affittavo nei fine settimana così, per curiosità. Un mese dopo comprai una Pentax dallo stesso rivenditore, a 5.000 lire al mese.
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Per me la fotografia non è mai stata una professione: è la mia continua realtà, che dona qualità alla mia vita.
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Per la me la fotografia rimane sempre un pretesto: è una parte di te stesso che va a testimoniare il tuo mondo, che sia un paesaggio o un essere umano. Infatti ho significato la mia testimonianza nel paesaggio naturale, nel paesaggio urbano, nelle ombre, nel nudo femminile, nella gente e nei ritratti.
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Fotografo il colore perché fortunatamente vedo a colori.
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Il mio colore non è un'aggiunta cromatica al bianco e nero ma diventa un modo diverso di vedere, essendomi liberato da quelle esigenze spettacolari che hanno caratterizzato la fotografia a colori, accettando il colore come un traguardo inevitabile nell'evoluzione della fotografia.
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Si tratta sempre di cancellare per evidenziare. In ogni situazione cerco la significazione, la sintesi delle cose affinché da oggetto diventino soggetto, e il compito della fotografia creativa non è illustrare o rappresentare ma esprimere.
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Non amo molto parlare degli apparecchi che uso; non lo ritengo importante.
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uso la digitale perché offre un'economia e una rapidità di lavoro che mi permette di risparmiare tempo.
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occorre capire che prima di diventare bisogna "essere"; ed essere significa testimoniare e significarsi per quello che si è e non per quello che si immagina.
Dall'intervista di Marco Pinna 24 Giugno 2010
 

Photo Franco Fontana


non ho mai accettato di firmare contratti, neppure con Vogue America e c’è chi si venderebbe la nonna o la mamma pur di avere un contratto del genere!
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Non sono mai stato iscritto a club o circoli fotografici, se non al massimo per un anno, poi me ne sono andato. Sono stato sempre molto libero, perché per me la fotografia è un pretesto.
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Ho fatto di tutto – moda, pubblicità, campagne di ogni tipo – e continuo sempre a dimenticare per rinnovarmi.
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Non fotografo più i paesaggi, perché altrimenti farei delle “fontanate”(...) Se, oggi, andassi in Puglia a fotografare i paesaggi, trentasei scatti sarebbero trentasei foto. Una volta, invece, era tutta un’emozione, un vivere e convivere con quel sentimento che nasceva da ciò che vedevo. Quello che vediamo, del resto, non è che una parte di noi stessi. Non si fa altro che andare a prendere una parte di sé.
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La fotografia ha dato, e continua a dare, qualità alla mia vita.
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Ho capito che mi sarei dovuto realizzare in questa realtà negli anni ’72-’75, allora ho lasciato il lavoro che facevo, che era quello di arredare case, concludendo definitivamente quella parte della mia vita. Prima scattavo fotografie quando ne avevo il tempo, in vacanza o durante un viaggio. Quando ho capito che mi gratificava ho mollato tutto e mi sono dedicato completamente alla fotografia.
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Le mie fotografie non illustrano, ma esprimono un pensiero.
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Non ho fatto scuole artistiche nel modo più assoluto. Mi sono interessato d’arte come di musica, letteratura, insomma della situazione creativa della mente dell’uomo.
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Ai miei allievi non dico mai di leggere il manuale di fotografia, ma di andare al cinema, a teatro… La fotografia è una storia che matura. Anch’io attraverso mostre d’arte o film avrò maturato un modo di vedere che esprimo nel mio modo. Non ho fatto certo una foto come Puglia (1978) pensando a Van Gogh.
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Nel caso del nudo femminile ho cercato di fare un assemblaggio, una metafora tra le mie colline che sembrano nudi e i corpi umani: una specie di gemellaggio con la natura. Un nudo che non è volgare, perché é di memoria classica.
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In generale le mie foto non sono angoscianti, sono felici, solari. C’è la gioia del colore, che è un’attitudine di vita.
Dall'intervista di Manuela De Leonardis Ottobre 2010
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