Sebastiao Salgado

Sebastiao Salgado

In Ruanda vidi la brutalità totale.Vidi persone morire a migliaia ogni giorno e persi la fiducia nella nostra specie. Non credevo che fosse più possibile per noi vivere. Fu a quel punto che mi ammalai.

Fino ad allora, l’unico animale che avevo fotografato era stato l’uomo: era arrivato il momento di immortalare tutti gli altri animali. Volevo fotografare panorami ma anche lo stesso uomo in ciò che era all’origine, cioè immerso nella natura.

Il linguaggio fotografico è un linguaggio formale, legato all’estetica. Certamente, se le mie fotografie arrivano ad essere esposte in un museo, vuol dire che hanno anche un valore estetico che le contraddistingue, ma non voglio assolutamente che queste siano lette come delle opere d’arte. Infatti, non nascono per essere oggetto d’arte, ma come un insieme di immagini per informare, per provocare discussioni, dibattiti.

Sono prima di tutto un giornalista e un fotoreporter.

Quando ho iniziato a fotografare, i colori erano molto saturi. C’era il rischio che prendessero il sopravvento sui soggetti che volevo mostrare, sulla dignità delle persone, sui sentimenti, sulla storia. La bellezza dei colori rischiava di cancellare tutto il resto.


Pinguini, foto del libro di Sebastiao Salgado

Chi non ama aspettare, non può diventare un fotografo.


Mi sono accovacciato e ho camminato alla sua stessa altezza, con le mani e le ginocchia per terra. Da quel momento la tartaruga non è più fuggita…Così ho potuto iniziare a fotografarla. Mi ci è voluta una giornata intera per avvicinarla. Tutta una giornata per farle capire che rispettavo il suo territorio.

i fotografi siamo come cacciatori che passano molto tempo a spiare la selvaggina, ad attendere che esca dalla tana, fotografare è la stessa cosa, bisogna avere la pazienza di aspettare che accada qualcosa, perché qualcosa accadrà, per forza.

una buona fotografia è quella che riesce a riprodurre e a trasmettere le emozioni che ho provato mentre scattavo.

Quando mi rendo conto che non riesco a cogliere quello che vorrei, allora lascio la macchina fotografica e mi limito a guardare, a vivere.

Nelle fotografie a colori c’è già tutto. Una foto in bianco e nero invece è come un’illustrazione parziale della realtà. Chi la guarda, deve ricostruirla attraverso la propria memoria che è sempre a colori, assimilandola a poco a poco. C’è quindi un’interazione molto forte tra l’immagine e chi la guarda. La foto in bianco e nero può essere interiorizzata molto di più di una foto a colori, che è un prodotto praticamente finito.

Photo Sebastiao Salgado


Mi piace molto lavorare su progetti a lungo termine, quando spendi più tempo su un progetto, impari a comprendere i tuoi soggetti e arriva un momento in cui non sei più tu che stai fotografando... accade una cosa speciale tra te e i tuoi soggetti, ti rendi conto che sono loro a darti la fotografia.

Quando fotografo io respiro la fatica dell’uomo, i suoi ritmi, le sue angosce. Ma anche le sue speranze.

Gli studi in economia mi hanno insegnato a guardare, contestualizzare, comprendere e sintetizzare. Inoltre, se non avessi avuto la formazione da economista, non so se mi sarei interessato allo stesso modo agli uomini e al mondo del lavoro. Insomma, anche se non appare sempre direttamente, gli studi di economia continuano ad agire dentro di me e a orientare il mio lavoro fotografico.

Le immagini possono risvegliare le coscienze come una premessa necessaria all’avvio di qualche azione. Un’immagine è come un appello a fare qualcosa, non soltanto a sentirsi turbati o indignati. La foto dice: “Basta! Intervenite, agite!

Ai miei allievi consiglio sempre di studiare, di andare all’Università. Fare belle foto non basta. Bisogna anche dare loro un senso.

Ho realizzato che esiste anche il dovere di fare qualcosa di bello, di mostrare a tutti l’incanto della natura.

Photo Sebastiao Salgado

Genesi è una lettera d'amore alla terra scritta con la macchina fotografica.

durante tutti questi anni, il vero viaggio è stato dentro me stesso, per conoscere l'altro da sé occorre conoscere se stessi.

Le mie fotografie non nascono dal desiderio di comunicare, ma dall'istinto.

mi hanno spesso rimproverato la dimensione troppo estetizzante delle mie foto, specie di fronte alla violenza e alla miseria. Questa però è la mia forma di scrittura, il mio stile. Cambiano i soggetti, non il mio linguaggio fotografico, che nasce sempre da una forma di partecipazione spirituale.

spesso la gente vede nei miei scatti dettagli che io non ho mai visto, se ne impadronisce, le fa proprie. E ciò vale soprattutto per le fotografie in bianco e nero, che hanno una dimensione più partecipativa.

Per me fotografare è un'avventura e una scoperta

Sempre. Si sceglie un soggetto, ma si sceglie anche se fotografare oppure no. Anche per questo, una foto non è mai oggettiva. Istintivamente il fotografo esprime un punto di vista, una visione del mondo, un modo di leggere la realtà. In maniera cosciente o incosciente, una foto è sempre soggettiva. L'oggettività fotografica non esiste.