Roberto Saviano



Certo che ho guadagnato dei soldi ma se così non fosse avrei già dovuto smettere di scrivere le cose che scrivo perché non avrei i mezzi per difendermi dalle querele che mi fioccano addosso da parte dei malavitosi, Raffaele Cutolo in testa, tutte vinte peraltro, per fortuna.
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Sono nervoso per me ma anche per i miei familiari, in quanto porto la responsabilità del loro sradicamento, della loro forzata emigrazione.
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Mi ritrovo con una grande voglia di vendetta contro chi mi costringe a questa vita e talmente nervoso che mi rovino le mani dando cazzotti contro il muro. E chissà come sarei ridotto se non mi potessi sfogare allenandomi con uno degli amici che mi proteggono, pugile un tempo, prima di entrare nell’Arma.
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Vado in tv quando arrivano nuove minacce perché la visibilità, la notorietà sono una forma di tutela.
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Quanto alla stima e all’amicizia dei grandi scrittori stranieri, probabilmente sono vivo grazie a loro perché se all’estero non avessero seguito con passione e partecipazione il mio caso, temo proprio che non avrei avuto attenzione e protezione dal mio Paese.
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Il governo di Stoccolma mi aveva offerto di trasferirmi in Svezia. Non sono andato perché cosa ci fa lassù uno abituato a vivere nei quartieri spagnoli di Napoli, in vicolo Sant’Anna a Palazzo, per la precisione, strada di cui ho grande nostalgia, dove ha vissuto Eleonora Fonseca Pimentel ed è nato Domenico Rea? Ma devo ammettere che non sono andato anche per quella mia ambizione da peccato mortale, e cioè la voglia di non dargliela vinta ai miei nemici.


Per difendermi sono diventato cattivo, perché non è vero che le difficoltà migliorano l’uomo: lo peggiorano, invece, quasi sempre, e nella mia segregazione io sono peggiorato.
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Con Gomorra non pretendevo tanto di avere successo quanto di cambiare le cose, svegliare la gente, costringerla a vedere l’orrida realtà neppure tanto nascosta.
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Il cartolaio di Casal di Principe mi sfotte divertendosi a sistemare "Gomorra" nel settore fiabe, accanto a Biancaneve e Cappuccetto Rosso.
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Domani riapro il pc, mi sveglio e mi sento dire, sei a posto. No amico, magari. Sono anni che non sono a posto, che non siamo a posto. La verità è un'altra. Sei fuori posto.
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Non siamo il Paese di Riina, ma quello di Falcone.
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Qualunque sia la cosa da fare, sarà quella sbagliata per qualche motivo. Questa è la vera solitudine.
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È proprio attraverso le domande che si può arrivare a costruire una società in grado di dare risposte.
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Come si vive sotto scorta?
Ci si abitua a tutto.
Anche alla mancanza di libertà?
La vera libertà è quella che hai nella testa, ce lo ha insegnato Rushdie.
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