Quando
feci il provino per il Barcellona mi fecero palleggiare, dribblare e
tirare. Mi dissero "Basta così" quasi subito. Per non
correre rischi, mi fecero firmare il contratto al volo, su un
tovagliolo di carta.
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So che Maradona mi riempie di elogi e mi considera il suo unico erede, ma io non ce la faccio neanche a prendere in mano il telefono per ringraziarlo. Mi vergogno. Sono lusingato da lui e da tutti gli altri per l'accostamento, ma Diego è troppo più di me.
So che Maradona mi riempie di elogi e mi considera il suo unico erede, ma io non ce la faccio neanche a prendere in mano il telefono per ringraziarlo. Mi vergogno. Sono lusingato da lui e da tutti gli altri per l'accostamento, ma Diego è troppo più di me.
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Qual è la cosa peggiore del lavoro di un calciatore? Sono le interviste.
Qual è la cosa peggiore del lavoro di un calciatore? Sono le interviste.
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Ho cominciato a tirare calci al pallone a quattro anni, per strada, come quasi tutti in Argentina. Imitavo i miei due fratelli più grandi. E li dribblavo.
Ho cominciato a tirare calci al pallone a quattro anni, per strada, come quasi tutti in Argentina. Imitavo i miei due fratelli più grandi. E li dribblavo.
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I primi tempi in Spagna sono stati duri: lontano dalla mia terra, dai miei genitori, dalla mia gente. Ero un ragazzino che non usciva quasi mai di casa se non per gli allenamenti e per la quotidiana iniezione di ormoni in ospedale. Poi è arrivato mio fratello Rodrigo, venuto a Barcellona per fare il cuoco, e sono andato a stare da lui.
I primi tempi in Spagna sono stati duri: lontano dalla mia terra, dai miei genitori, dalla mia gente. Ero un ragazzino che non usciva quasi mai di casa se non per gli allenamenti e per la quotidiana iniezione di ormoni in ospedale. Poi è arrivato mio fratello Rodrigo, venuto a Barcellona per fare il cuoco, e sono andato a stare da lui.
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Tra me e il pallone c'è un rapporto speciale. Ancora oggi, come quando ero bambino, so già come dovrò trattarlo e cosa dovrò farne prima ancora che mi arrivi tra i piedi.
Tra me e il pallone c'è un rapporto speciale. Ancora oggi, come quando ero bambino, so già come dovrò trattarlo e cosa dovrò farne prima ancora che mi arrivi tra i piedi.
Da
una intervista di Marina Speich su Grazia.it (26 maggio 2011)
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È più
difficile stare davanti all’obiettivo di un fotografo di moda che
giocare a calcio. Forse perché fare il modello non è proprio la mia
specialità. Però è stato divertente posare per Dolce&Gabbana
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Quando
gioco a calcio, mi lascio portare da quello che sento dentro in quel
momento. Non credo sia una magia.
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Di
solito non leggo tanto, ma Gabriel García Márquez è un punto di
riferimento assoluto.
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Il
calcio è la mia passione. Lo amo da sempre. Quando ero piccolo, ogni
volta che potevo, c’era una palla tra i miei piedi.
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Alcune
esperienze del passato mi permettono di lavorare meglio oggi, nel
presente. Il fatto di aver lottato molto per arrivare fino a qui mi
aiuta a tenere la testa a posto. La verità è che tento di rimanere
me stesso sempre, in ogni situazione.
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Un
giorno, dopo aver visitato un ospedale, ho capito il ruolo speciale
che possono avere i personaggi pubblici. Mi sono reso conto che per
questi bambini malati la presenza di un calciatore famoso può essere
davvero un grande aiuto. Quando ti vedono, ti regalano il loro
sorriso e provano un’allegria speciale che dà loro la forza di
continuare a lottare. È come se, grazie a te, si sentissero in grado
di guarire e di realizzare i loro sogni. Io ne so qualcosa: ce l’ho
fatta, sono diventato un calciatore dopo aver lottato molto. E devo
ancora lottare ogni giorno per rimanere al massimo livello. Vorrei
mettere il mio successo a disposizione di chi ne ha più bisogno.
Questo è il mio progetto. Perché ogni volta che aiuto un bambino
malato a sentire che c’è speranza, mi emoziono. Per questo abbiamo
deciso di creare una fondazione. Con lo stesso impegno, con la stessa
forza, che metto nella mia professione di calciatore, continuerò a
lottare per rendere più felici i bambini. È quello che ho scelto.
Io ho scelto di credere.
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Sono
progetti importanti. Li ho scelti con la mia famiglia e ruotano
intorno alla salute e all’educazione dei bambini. Stiamo
organizzando, per esempio, una scuola di calcio a Rosario, nella mia
città natale in Argentina. Abbiamo anche costruito un parco giochi
nell’ospedale Vall de Hebrón a Barcellona. Lavoriamo nella lotta
contro una malattia tropicale, il mal de chagas, e abbiamo stanziato
delle borse di studio a favore dei medici argentini in modo che
possano venire negli ospedali più all’avanguardia a Barcellona
nella cura dei tumori infantili.
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